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il Caffaro
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Una piccola Hollywood
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Pochi sanno che Pegli, negli anni precedenti la prima guerra mondiale, è stata una sorta di piccola Hollywood genovese. A quel tempo in via Balilla (oggi Zaccaria), in riva al mare, sorgeva un vero e proprio stabilimento cinematografico (la Cinograph, poi acquistata dalla Gloria Films di Torino), dove furono realizzati alcuni film all'epoca abbastanza famosi: nel 1913 "Nerone e Agrippina" (per girare il quale furono predisposte diverse triremi perfettamente ricostruite) e "Florette e Patapon", entrambi diretti da Mario Camerini e interpretati da Mario Bonnard. Nel 1915 è la volta de "La vergine del mare", per la regìa di Piero Calza Bini, che per l'occasione ricostruì sulla spiaggia un villaggio di pescatori. Sempre del 1915, "Un dramma tra le belve", di Amleto Palermi (cfr. "Cinema&Video International", nn. 10-11, ottobre-novembre 2007).

Cogliendo questo ed altri spunti, abbiamo pensato che valesse la pena di riportare in luce un episodio così singolare - non affatto secondario nella storia recente di Pegli - indagando, con l'aiuto di esperti da un lato ma anche di eventuali testimoni dall'altro, circostanze, date, personaggi ecc. relativi all'oggetto.

Per questo, dunque, ci appelliamo ai Pegliesi perché chi ha notizie, informazioni, documenti (fotografie, materiale illustrativo, articoli di cronaca o anche semplici ricordi e testimonianze di vita vissuta), si faccia avanti e ci aiuti a ricostruire la storia di questa nostra piccola Hollywood pegliese.

info@comitatodifesapegli.it

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Il gioco della cartolina: i risultati
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gioco Molte le risposte, a conferma dell'interesse suscitato dal gioco e, più in generale, dal tema proposto: lo sviluppo urbanistico di Pegli tra Otto e Novecento. Pubblichiamo qui di seguito una dettagliata analisi della cartolina, formulata anche grazie ai contributi dei nostri lettori.

Questa cartolina postale (non tanto rara quanto interessante, come documento iconografico, per il punto di ripresa e l'inquadratura) mostra un ampio scorcio del centro di Pegli in una fase imprecisata del suo sviluppo, databile tra Otto e Novecento. Sono facilmente riconoscibili la chiesa di San Martino con l'annesso convento dei Padri Benedettini (A) e l'adiacente palazzo Pallavicini (B) - entrambi in posizione dominante ma che guardano l'una a ponente, verso villa Doria, l'altro a levante, verso il Varenna e la piana degli Orti Pallavicini (oggi vie Garelli, Longo, della Maona). Altrettanto facile riconoscere il palazzo Centurione Doria (G) e la chiesa (con annesso conventino) di Santa Maria delle Grazie o cappella Doria (D). Più difficile riconoscere nei fabbricati (C) le pertinenze rurali di villa Centurione Doria, ancora comprese nella proprietà nei primi anni del Novecento (quando l'ingresso al giardino si trovava all'inizio dell'attuale via Pavia) e demolite nei tardi anni Venti per far luogo alla lottizzazione di piazza Bonavino. Altra curiosità, villa Helvetia (E) o "villino svizzero", che sorgeva nel giardino di villa Lomellini (Hotel Méditerranée), a margine della ferrovia e che fu demolita nel 1958 per la costruzione del grattacielo di via Sabotino. Della ferrovia, che qui corre in trincea, si intuisce appena la presenza, mentre è bene evidente il cavalcavia (ancora esistente, anche se abbandonato) che metteva a villa De Nicolay (F) o "delle palme". Quest'ultima sorgeva lungo via XX Settembre (attuale via Martiri della Libertà) e la villa e il parco nei primi anni Cinquanta lasciarono il posto ai palazzi che oggi sorgono nel tratto di via Martiri della Libertà compreso tra via Monti e via Vespucci. Sulla sinistra si nota una piccola villa ottocentesca (H), non meglio identificabile ma stata certamente travolta dall'urbanizzazione seguita al tracciamento di via de Nicolay. Quanto alla misteriosa "struttura lineare" che campeggia in mezzo alla scena, altro non è che il muro che delimitava a valle l'asse, da poco tracciato, della stessa via XX Settembre: muro che, come d'uso in antico regime, si poneva a salvaguardia dei fondi coltivi rispetto alla pubblica via. Infine, la data e il punto di ripresa. Nulla di certo ma la foto, molto probabilmente ripresa da una finestra della facciata posteriore dal palazzo Lomellini (Hotel Méditerranée), si può datare intorno agli ultimi anni dell'Ottocento.

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Palazzo Doria alla Marina
(Lungomare civ. 47)
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cartolina Nelle due cartoline datate 1905 e 1928 troviamo raffigurato il palazzo già Doria alla Marina, rispettivamente nella versione originale e in quella seguita alla ristrutturazione del 1908 - all'insegna questa di un superficiale eclettismo di ispirazione araba.

insediamento doriano Il palazzo alla Marina, realizzato da Gio Andrea Doria a partire dal 1585 (in primo piano nella veduta settecentesca qui a lato riprodotta), è un avamposto sul mare del "palazzo d'alto" (Centurione, acquisito l'anno prima) a cui è unito da un lungo viale pergolato che celava, si ipotizza, una segreta via di fuga sotterranea. Il viale era interrotto a metà percorso ("da i rastelli", nella dizione invalsa localmente) dalla pubblica via che dalla chiesina delle Grazie (cappella Doria) tirava a ponente per scendere a Porticciolo. La costruzione del palazzo venne affidata al capo d'opera Gaspare da Corte sotto la supervisione dell'architetto Andrea Vannone - lo stesso che poco dopo sovrintese alla chiesa ed al convento delle Grazie nonché all'ampliamento di palazzo Centurione.

cartolina L'accennata trasformazione del primo Novecento, con la sopraelevazione di due piani e la divisione in appartamenti, non ha cancellato del tutto le strutture e gli apparati decorativi tardo-cinquecenteschi - dovuti questi ai fratelli Calvi (loro, tra l'altro, il soffitto di un salone al primo piano con l'Apollo e il carro del Sole).

Hotel Gargini Dal 1860 vi ebbe sede l'Hotel Gargini, che vi rimase fino al 1907 (si veda la stampa pubblicitaria qui riprodotta). Giacomo Gargini (noto proprietario tra l'altro del ristorante della Concordia in Strada Nuova) aveva dapprima gestito l'albergo eretto nel 1857 dal marchese Pallavicini proprio davanti alla stazione ferroviaria, per passare ben presto la mano alla nuova gestione, donde il nome di Hotel Michel (più tardi de la Ville e infine d'Angleterre).

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N. S. delle Grazie
(Cappella Doria)
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M D X C I I
DONNA ZANOBIA DORIA MORTA ET GIO: ANDREA DORIA
VIVO PRINCIPI III DI MELFI MA IN VERO
TUTTI DUE MORTI ET TUTTI DUE VIVI PERCHE' FU
LA VITA DI CHI E' MORTA TALE CHE VIVERA' SEMPRE
ET CHI VIVE RESTO' IN MODO PER LA SUA MORTE CHE
FRA I MORTI PUO' ESSER RIPUTATO HANNO FATTO
ORNATO ET DOTATO QUESTA CHIESA DEDICATA A
N. S. RA DELLE GRATIE A HONOR ET SERVICIO DI DIO
UTILE DI QUESTO POPOLO ET COMMODO DELLE LORO
CASE ET DATOLA A QUESTI PADRI PERCHE PREGHINO
PER LE ANIME LORO ET DE SUOI DESCENDENTI

targa Cappella Doria La lapide murata sopra la porta d'ingresso della piccola chiesa conventuale di N. S. della Grazie (cappella gentilizia dei Doria) narra con toni struggenti una storia d'amore (e di fede) vissuta cinque secoli fa da Giovanni Andrea Doria e da sua moglie, Zenobia del Carretto. Chi furono questi personaggi? Che cosa rappresenta questa "loro" chiesa nella vicenda pegliese? Gio Andrea Doria (1540-1606) fu scelto come erede dal Principe Andrea, dopo che il padre Giannettino (cugino di Andrea, suo luogotenente ed erede designato) tragicamente scomparve negli scontri seguiti alla congiura del Fieschi (1547). Per via di madre (Ginetta) Gio Andrea era nipote di quell'Adamo Centurione potentissimo banchiere (committente, tra l'altro, della villa di Pegli, che pervenne ai Doria per acquisto fattone da Gio Andrea nel 1584) e alleato fedele del Principe Andrea, cui non lesinò il proprio appoggio nei momenti (e ve ne furono) di difficoltà. Gio Andrea aveva appena 7 anni quando morì il padre, e 10 quando gli fu promessa Zenobia (sua coetanea) con regolare contratto: mai matrimonio combinato, come d'uso, in età precoce fu ripagato da tanto amore, come dimostra l'epigrafe qui sopra trascritta. Gio Andrea, uomo avvezzo dall'infanzia alla dura vita di mare, formato e cresciuto per portare il peso di un'azienda famigliare di "imprenditori" della guerra sui mari, padroni e comandanti di galere, alleati del Re di Spagna (Andrea passa al giovane erede la titolarità del contratto di asiento che legava la famiglia alla Corona, così come il titolo di ammiraglio della flotta spagnola nel Mediterraneo), si scopre qui nella privata condizione di sposo amorevole e fedele, capace di un sentimento (con ogni evidenza corrisposto) che va oltre la dimensione temporale, e che sublima nell'ideale di una sempiterna, incorrotta unità spirituale. Gli ordini impartiti per il suo funerale lo confermano. Il Principe, nel suo testamento (1605), disponeva che gli fosse messa nella mano sinistra una ciocca di capelli della moglie, e al fianco in apposito contenitore la cenere di tutte le sue lettere; che inoltre il suo corpo fosse vestito con "un palandrano di veluto negro lavorato (...) fato de una roba che portò Donna Zenobia mia Signora et vera amica"; che infine nella comune sepoltura si scolpissero le parole: qui stanno sepolti doi che morte non poté dividere.

insediamento doriano Gio Andrea seguì ed anzi accentuò l'impegno che fu già del Principe Andrea nella committenza di sontuose dimore (valga su tutti l'esempio di Fassolo), e questo anche un po' per necessità: dimostrare tangibilmente, agli occhi dei sovrani europei, la forza della famiglia e la capacità di far fronte a cospicui impegni finanziari, quali si richiedevano per l'armamento di una flotta militare. In particolare, tra il 1575 e il 1585 Gio Andrea diede vita all'ambizioso complesso di Loano, che a palazzi e giardini alterna chiostri e viridari di complessi religiosi (di Sant'Agostino e del Carmelo), in singolare unione di delizie terrene e mistica pietà. Questo stesso concetto sovrintende all'insediamento di Pegli (qui raffigurato in un bel disegno del XVIII secolo): dotare le "case" di edifici religiosi per l'utile della popolazione e per il "commodo" delle stesse. Nel 1585 Gio Andrea inizia la costruzione del palazzo alla Marina (oggi civ. 47 del Lungomare, sulle cui successive vicende torneremo in queste "Spigolature"), affidandone il progetto all'architetto Andrea Vannone, che fu poi ingaggiato anche per l'ampliamento del palazzo "d'alto" (Centurione) e per la costruzione della chiesa (e convento) di N. S. delle Grazie, dove Gio Andrea chiamò dapprima i Trinitari e successivamente (trasferiti questi nell'ex convento cistercense di San Benedetto, ai confini del palazzo di Fassolo, una volta restaurato) gli Agostiniani. Per approfondire: AA. VV., Giovanni Andrea Doria e Loano, la chiesa di Sant'Agostino, Loano 1999 e inoltre, L. Magnani, Il tempio di Venere. Giardino e villa nella cultura genovese, Sagep, Genova 1987.

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Il ponte e i palazzi Granara in Val Varenna
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Palazzo Konak Secondo tradizione il palazzo (Konak, ad avvalorare una presunta derivazione turco-ottomana) sarebbe stato eretto dai Lomellini di Tabarca nel secolo XVII. Non solo, la forma dell'edificio (che volge a nord un'insolita facciata concava, sapientemente raccordata all'innesto del ponte sulla viabilità di sponda destra) risponderebbe ad un programma rimasto a metà, secondo il quale un altro consimile edificio, simmetrico a quello costruito, avrebbe dovuto formare, con l'asta del torrente, il disegno di un'ancora, così da celebrare la potenza dei Lomellini sui mari. Una tale colorita versione - parzialmente ripresa dalla letteratura (cfr. Catalogo delle Ville Genovesi, scheda Villa Lomellini "Il Konak", pag. 23a, Genova 1981) - potrebbe essere maturata assai più tardi e forse in concomitanza con la presenza, nel palazzo, del pittore accademico storicista Antonio Orazio Quinzio (figlio del più noto Giovanni), che vi abitò e vi ebbe lo studio dal 1906 al 1938, anno della sua morte (cfr. G. Chiozza, Tesori d'arte ignorati a Pegli, "Il Lavoro" 31 agosto 1957). Ma la realtà è un'altra e vede protagonista come committente delle due ville e del ponte che le unisce, il facoltoso mercante (e "pubblico mediatore sulla piazza di Genova") Gio:Battista Granara. Tra i maggiori possidenti a Pegli e in Varenna (insieme con esponenti di antiche casate nobiliari come i Lomellini, i Cattaneo, i Grimaldi, i Doria), nella seconda metà del Settecento il Granara costruisce la villa in sponda sinistra, il ponte e per finire, in sponda destra, il "Palazzo nuovo" (il Konak, per l'appunto). Entro il 1790 viene così a compimento quell'insieme paesistico e monumentale che ancora oggi si manifesta in tutta la sua forza e la sua coerenza, specialmente derivate dalle ardite e possenti opere di sistemazione dei rispettivi versanti - in tal modo predisposti per l'impianto di colture di pregio come il vigneto e l'agrumeto (in grande espansione, quest'ultimo, tra XVIII e XIX secolo).

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Castello Vianson (1907) in una foto dei primi anni del Novecento
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Castello Vianson Il castello sul mare che Enrico Vianson commissiona nel 1904 all'architetto Marc'Aurelio Crotta (1861-1909) è certo, a Pegli, un'opera delle più significative del Novecento. Nel solco di una produzione ottocentesca che annovera, tra gli altri, esempi celebri come il Miramare di Trieste (architetto Carl Juncker, 1856-60) e, localmente, il castello Raggio di Cornigliano (architetto Luigi Rovelli, 1881-83), il castello Vianson, con i richiami esplicitamente moreschi dell'architettura ed i motivi a intreccio di una decorazione di ispirazione ispano-araba, si offre come un'originale interpretazione della svolta modernista di questo architetto, segnando l'approdo di un percorso (breve, data la scomparsa prematura) caratterizzato da un preminente impegno nell'ambito del restauro (diresse tra l'altro il cantiere del castello d'Albertis e fu coinvolto da Alfredo D'Andrade nei restauri della cattedrale di San Lorenzo e di porta Soprana) e da opere d'intonazione neo-medievalista come il castello Figari a San Michele di Pagana, lo chalet Beiro (per l'amico archeologo Giovanni Campora), villa Ottone a Torriglia e, sempre per gli Ottone, la cappella di famiglia a Staglieno (1898). Per approfondire cfr. C. Dufour Bozzo, M. Marcenaro (a cura di), Medioevo demolito. Genova 1860-1940, Pirella Editore, Genova 1990

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cartolina 1939
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cartolina 1939 Questa cartolina illustrata è databile al 1939. Lo conferma la costruzione in corso dello stabilimento "Mediterraneo" (futuri Bagni Meditérranée) nella versione rigorosamente razionalista che informò la produzione di un esponente di spicco della cultura architettonica genovese e nazionale: Mario Labò (per approfondire cfr. P. Cevini, Genova Anni Trenta. Da Labò a Daneri, Sagep, Genova 1984). Il Club Vela, inoltre, figura ancora nell'originaria veste dell'eclettico chalet in legno acquistato nel 1928 dal Club Nautico Sampierdarenese (cui fu aggiunto, nell'occasione, il palco per la giuria a "ponte di comando"). Il vecchio chalet, smontato durante la guerra per la costruzione del muro anti-sbarco, fu sostituito dall'attuale fabbricato nel 1951.

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