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il Caffaro
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cave val Varenna
sottolineatura

Genova Pegli, 5 marzo 1999

           Al Signor Sindaco del Comune di Genova
           Ai Sigg.ri Assessori del Comune di Genova
           - ai Servizi di Manutenzione
           - alla Viabilità e Traffico
           - all'Ambiente
           Al Signor Vice-Presidente della Provincia di Genova e
           Assessore alla Difesa del suolo
           Al Signor Assessore all'Energia, Difesa del suolo, Edilizia e
           Protezione civile della Regione Liguria

oggetto: cave val Varenna

           Questi Comitati ben comprendono la necessità e l'urgenza di rinforzare le opere a difesa del Porto petroli e dell'Aeroporto. Non pongono in discussione le finalità dei provvedimenti, ma le modalità della loro attuazione, ossia il progetto.

           Quest'ultimo, che è a base dell'appalto ultimamente assegnato ad un raggruppamento di imprese edili e di cavatori, se da un lato consegue le finalità proprie dell'Autorità portuale (che ne è committente), dall'altro ignora le conseguenze indotte sulla città, sul territorio, sulla comunità civile che ne è destinataria e infine ne paga il prezzo.

           Un progetto deve porsi nella condizione di valutare preliminarmente, accanto ai benefici, i costi: non solo quelli diretti ma anche quelli indiretti, intesi questi come ricadute sociali ed ambientali. Tanto più oggi, che il concetto di "sostenibilità" sembra acquisito, a parole, al punto da diventare leit motiv della nuova legge urbanistica regionale, appare davvero strano che ancora si producano progetti che piovono dall'alto - come era prassi, per quanto deprecata, delle amministrazioni dello Stato -, forzando le decisioni degli enti locali e ignorando gli interessi degli abitanti.

           Le questioni che questo progetto ha dimenticato non sono di poca importanza. Si possono riassumere:
- nella integrità e nella salvaguardia dei valori naturalistici ed ambientali della val Varenna;
- nella tutela degli equilibri geologici e idrogeologici (delicatissimi, come dimostra il Piano di bacino della Provincia);
- nella sicurezza e nella salvaguardia delle opere e dei manufatti stradali (non a caso da sempre soggetti a severi limiti di portata);
- ed infine - più importante di tutto - nella difesa della salute, della sicurezza e del benessere degli abitanti.

           Gli scriventi hanno già avuto occasione di spiegare e dimostrare tutto ciò in sedi e con documenti diversi, con riferimento sia al Piano territoriale delle cave della Regione Liguria, sia alla viabilità comunale. Ma non sarà inutile riassumere i termini delle questioni.

           Delle tre cave in attività nella valle, le due di Chiesino e Pian di Carlo sono prossime all'esaurimento: il Piano le classifica entrambe di tipo D e, salvo sorprese, dovrebbero terminare l'attività entro un anno. Resta il problema del ripristino, che poiché appare oggi lungi dall'essere intrapreso, non si vorrebbe diventasse l'occasione - o il pretesto - per un'ulteriore dilazione dei termini di chiusura (così come già altre volte in passato).

           Diverso il discorso sulla terza cava, Rocca dei Banditi in località Carpenara. Il piano di coltivazione, che scade nel 2002, limita l'escavazione, in particolare, ad una certa quota (400 m s.l.m.), ponendo con ciò una precisa salvaguardia sulla parte sommitale della Rocca.

           La Tana o Rocca dei Banditi è parte di un contrafforte roccioso della dorsale che dal monte Pennello e da punta Martin scende verso Pegli, scompartendo il bacino del Varenna da quello di Acquasanta e del Leira. Contrafforte che trae spunto dalla punta del Corno, per scendere di traverso alla valle con alcuni caratteristici affioramenti rocciosi, tra cui la stessa Tana o Rocca dei Banditi, la Rocca Civetta e, sull'opposto versante, la Rocca Fumella.

           Da un punto di vista paesistico, l'interesse - anche geomorfologico e vegetazionale - di una tale emergenza non va disgiunto dall'importanza storico- monumentale del complesso delle antiche cartiere di Carpenara (una sorta di borgo industriale ante-litteram, fondato tra '600 e '700 dai Pallavicini, che si articola attorno ad una pittoresca piazzetta, con forno "pubblico" e cappella) e di altri episodi come la secentesca cappella di S. Bernardo e la Ca' Grossa (caposaldo fortificato lungo l'itinerario vallivo) che determinano nell'insieme uno scenario di oggettivo, ragguardevole interesse storico ed ambientale.

           A chi risale la valle, la Rocca dei Banditi e, di fronte, la Rocca Fumella con al piede il ponte secentesco purtroppo divelto dall'ultima alluvione, appaiono come un avamposto naturale, una porta che mette alla parte alta della valle lungo lo storico percorso che da S. Carlo, per il valico di Lencisa, raggiunge la val Verde (S. Martino di Paravanico) per finire, attraverso i Piani di Praglia, alle Capanne di Marcarolo, crocevia tra val Polcevera, val Lemme e valle Stura e antico caposaldo degli itinerari carovanieri d'Oltregiogo.

           Quanto al Piano cave, l'originaria previsione di ampliamento del perimetro della Rocca dei Banditi per una coltivazione estesa al versante orientale (essendosi nel frattempo resa manifesta la pericolosità del versante sud-occidentale, strettamente adiacente all'area franosa di rio Taggia e rio Ramaspessa), veniva presto messa in discussione dalla Provincia, che nel muovere osservazione al Piano, chiedeva senza mezzi termini la dismissione e la chiusura della Rocca dei Banditi (cava di tipo A).

           Del resto, la richiesta faceva seguito ad una raffica di interpellanze (mosse anche in Consiglio regionale) e si motivava, oltreché dai soliti problemi di viabilità, sicurezza degli abitanti ecc., da una diffusa percezione (certamente acuita in quel momento dagli strascichi dell'alluvione del settembre del 1993, con gli eventi luttuosi che ne seguirono in zona) della rilevanza, ormai drammatica, della questione ambientale e idrogeologica, che d'altra parte la Provincia stessa, con i piani di bacino, andava sottolineando con grande enfasi.

           Non passa molto tempo, però, che si profila un improvviso cambio di rotta. Ai primi del 1998, la Provincia con un o.d.g. votato in consiglio chiedeva alla Regione di non tener conto delle proprie precedenti osservazioni, e di autorizzare, al contrario, l'ampliamento che nel frattempo l'Autorità portuale si era fatta premura di sollecitare, in vista per l'appunto delle opere di Multedo e dell'Aeroporto. Il tutto in singolare concomitanza (ironia della sorte!) con il varo di quel Piano di bacino che svelava l'apocalittico scenario di una val Varenna per il 90% sotto rischio di frana.

           Anche il Comune aveva osservato al Piano cave nel senso di precludere ogni ampliamento della Rocca dei Banditi, puntualmente motivando con riguardo alle caratteristiche insufficienti della viabilità. E qui veniamo all'altra questione, già stata oggetto di specifico esposto diretto dagli scriventi a Sindaco, Assessore al Traffico e Assessore alle Manutenzioni in data 28 settembre 1998.

           Nel detto esposto si diffidava l'Amministrazione dal consentire il transito di veicoli di 40-45 t (tale è il peso lordo dei mezzi delle cave) su una strada - quella di val Varenna - soggetta al limite di 24 t, con deroghe periodicamente rinnovate in base ad una perizia predisposta dai cavatori nel lontano 1984, riguardante per altro i soli ponti (e non tutti), e non le opere stradali nel loro complesso - numerose ed importanti, queste, trattandosi di un tracciato tipicamente di montagna faticosamente ritagliato su versanti acclivi e instabili. Deroghe che di fatto avallano e perpetuano una situazione di rischio per gli abitanti, aggravata dalla circostanza che le caratteristiche geometriche della strada sono tali da consentire appena l'incrocio di due auto (non parliamo di mezzi pesanti) procedenti in senso opposto, e non senza cautela. Si aggiunga che manca il marciapiede anche nei tratti a più elevata percorrenza pedonale, come da località Tre Ponti a salita Stazione di Granara, dove si trovano la chiesa parrocchiale, botteghe, una trattoria, diverse case d'abitazione, la scuola elementare e materna ecc.

           Non si possono certo dimenticare le spettacolari frane causate dal cedimento delle opere di sostegno a Profondo, a Chiesino, a Carpenara, con l'interruzione del traffico e l'isolamento della valle per più giorni, con danni enormi al Comune e gravi disagi agli abitanti. Così come gli scoscendimenti delle carreggiate, i cedimenti e le lesioni dei muri (per tacere della polvere, del fango e di tutti gli altri inconvenienti che seguono all'attività di cava) sono indizi inequivocabilmente premonitori, segni di un degrado in atto che il solo fatto che la gente, rassegnata, vi conviva ormai abitualmente, non significa che non possa più oltre risolversi in ulteriori catastrofi (a quel punto annunciate). D'altra parte, dopo sei anni dall'alluvione, e nonostante il conclamato Piano di bacino, non si sono ancora viste - a parte le misure urgenti di ripristino della strada ed alcuni lavori nell'area fociva - quelle opere di riassetto degli argini, di ripristino degli alvei, di messa in sicurezza e sistemazione delle frane e, soprattutto, di regimazione e bonifica dei versanti sotto il profilo idrogeologico, che sole possono garantire per il futuro.

           Né, per inciso, incoraggia la preannunciata prospettiva che vede l'installazione nel sedime della cava di Chiesino, una volta dismessa, di un centro di compostaggio dell'Amiu. Preoccupano, anzi, oltre alle polveri ed al rumore, le elevate (pare) intensità di traffico - ancora una volta pesante - che tale attività (di cui per altro non è assolutamente in dubbio l'utilità pubblica) finirà per indurre nella valle, in aggiunta a quello delle cave.

           A fronte di tutto quanto sopra, non risulta per ora agli scriventi Comitati che l'Amministrazione abbia in qualche modo provveduto (anche sulla base degli impegni assunti nel corso della riunione del 25 gennaio a Tursi). Anzi, è notizia di cronaca che l'Assessore Merella, nell'imporre nuove limitazioni al traffico pesante sull'Aurelia, si sia premurato di escludere dalle stesse i mezzi provenienti da e diretti alle cave. Il che legittima la conclusione che sia implicito intendimento dell'Amministrazione chiudere un occhio ancora una volta, anche a prezzo di smentire se stessa (vedi l'accennata osservazione al Piano cave).

           Questi Comitati si chiedono, e chiedono a Lei, Signor Sindaco, cosa fare a questo punto, senza (per ora) voler pensare a soluzioni estreme, come il ricorso all'autorità giudiziaria per metter fine a quello che a stretti termini di legge non è altro che un abuso.

           Con spirito sinceramente collaborativo, e nel desiderio di trovare una soluzione ad un problema che d'altra parte non può risolversi semplicemente allontanandolo o rimuovendolo (in attesa che le cose in qualche modo si aggiustino), gli scriventi Comitati propongono quanto segue.

           Il nostro pensiero, come detto, è che ci troviamo davanti ad un progetto sbagliato, che non tiene conto dei necessari elementi: quegli elementi di cui avrebbe dovuto tener conto se - come sarebbe stato non solo opportuno, ma doveroso - fosse stato sottoposto ad una valutazione d'impatto.

           Un progetto sbagliato può, tuttavia e deve essere emendato e corretto - anche mettendo in conto gli eventuali maggiori oneri che non fossero stati in precedenza valutati - quando in gioco, come in questo caso, è il superiore interesse degli abitanti e della collettività.

           E' per questo che al fine di individuare delle soluzioni in positivo (posto naturalmente che sarà compito delle Amministrazioni e dei loro organismi tecnici formulare quelle più idonee e corrette sotto i diversi profili tecnici ed economici) questi Comitati ritengono fin d'ora che l'opzione dei manufatti in cls. prefabbricato (tetrapodi o blocchi), in alternativa alla gettata di massi naturali, sia da prendere in attenta considerazione.

           E' bensì vero che i manufatti in cls costano parecchio di più dei massi di cava - almeno come importo unitario - ma tale differenza iniziale si riduce sensibilmente e tende ad annullarsi, in certi casi (come è quello in questione, con mare aperto ed opere di una certa importanza), per le diverse caratteristiche costruttive dei due tipi di gettata. Al riguardo occorrerà tenere conto di diversi elementi:

- Anzitutto la diversa pendenza richiesta: più dolce nelle mantellate naturali, rispetto a quelle in tetrapodi e tanto minore quanto minore è la pezzatura dei massi della mantellata. Mentre con i tetrapodi si ammettono forti pendenze (rapporti altezza-lunghezza di 3 a 4), difficilmente con i massi naturali si raggiungono e superano pendenze del 50% (rapporto di 1 a 2). Anzi, con massi di 1a e 2a categoria (fino a 3 t), come quelli delle cave locali, le pendenze sono anche inferiori. A pendenze più dolci, sezioni maggiori e quindi, naturalmente, maggiori volumi.

- La gettata di elementi in cls. è dunque caratterizzata da minor volume (e peso), non solo per la maggiore pendenza e la conseguente minor sezione, ma per lo stesso criterio costruttivo. Infatti, diversamente dalla gettata di massi naturali, in cui la stabilità è essenzialmente affidata alla massa ed alla densità (elevate) del materiale, la gettata di tetrapodi realizza una stabilità non solo inerziale, ma anche strutturale, dato che si predispone, anche per reazione al moto ondoso, ad un assetto di equilibrio essenzialmente basato sulla concatenazione e sulla solidarietà tra gli elementi. Naturalmente, tale minor quantità di materiale dovrebbe essere valutata sulla base di elementi di progetto (in particolare della sezione tipo), ma è assai probabile che la soluzione in tetrapodi si presenti in definitiva, se non vantaggiosa, certo non tanto più gravosa, in termini economici, di quella in massi naturali.

- In un bilancio costi-benefici, andranno comunque anche valutate, a favore dell'opzione tetrapodi o massi artificiali, le positive ricadute sul piano economico ed occupazionale, per il valore aggiunto proprio del manufatto industriale. Al riguardo, non è chi non veda come la soluzione più opportuna - persino ovvia, e che resta ancora eventualmente percorribile - sarebbe stata di riattivare il cantiere specializzato in opere marittime già operativo in questo ambito (adiacente al Porto petroli, a est) rilevandone impianti, dotazioni e quant'altro. Con lo scalo ferroviario a tergo e la banchina a mare, tale soluzione si offre come logisticamente ideale, e non registra interferenze di sorta con la città.

- Così come infine andrà valutato, sempre a favore dell'opzione tetrapodi o massi artificiali, il vantaggio conseguibile in termini di impatto sull'ambiente, relativamente agli aspetti sopra esposti, sia in ordine alla salvaguardia di valori di natura, paesaggio e storico-culturali, sia per riguardo alla sicurezza, al benessere ed alla salute degli abitanti di Pegli e della val Varenna.

           Questi Comitati, confidando che l'Amministrazione vorrà tenere nella giusta considerazione quanto sopra, concludono ribadendo il senso vero e profondo della loro istanza, mossa da un solo, fermo fondamento che risiede nel considerare la val Varenna alla stregua di una grande ed insostituibile risorsa - naturalistica, ambientale e storico-culturale -, come tale da salvaguardare e da tramandare nella sua integrità.

           Distinti saluti

           Il Comitato per la Difesa di Pegli
           Il Comitato val Varenna

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